sabato 25 febbraio 2012

Prima tesi da noi proposta al congresso nazionale

Riduzione del numero dei Comuni: il riordino istituzionale parte da qui.

0. Introduzione

L’elemento di continuità di questi 150 anni d’Italia unita è il LOCALISMO. I Comuni infatti, sin dall’origine del nostro Paese, rappresentano la forma di politica più vicina al cittadino e più capace di interpretare le sue necessità e di soddisfarle. Le comunità sono nate intorno alle Chiese e ai Municipi e sono cresciute sotto le spinte innovative di Sindaci che hanno saputo valorizzare il loro territorio.
In un’ottica di riordino istituzionale, mentre si continua a discutere dell’abolizione delle Province, di riassetto della macchina istituzionale, di tagli ai costi della politica e di ottimizzazione delle risorse, è importante, a nostro avviso, rafforzare il ruolo dei Comuni (che si è molto svuotato negli ultimi decenni) per renderli nuovamente protagonisti del territorio e in grado di riappropriarsi della loro autonomia di governo.

1. Una fotografia dell’Italia, il Paese degli 8000 campanili

Molti Stati Europei hanno attuato, nel corso del secolo scorso, forti politiche di riorganizzazione e razionalizzazione degli enti locali. La Gran Bretagna, ad esempio, è passata, all’inizio degli anni Settanta, da 2.353 distretti a 596. In Danimarca nel 1967 i Comuni sono stati ridotti da 1.378 a 277. In Belgio, dalle 2.353 unità di partenza, se ne contano ora 596. La Germania (allora Germania dell’Ovest) balzò da 14.338 a 8.414. Nel 1971, anche la Francia ridusse di un migliaio di unità i suoi 37.708 Comuni, ma scelse poi di proseguire attuando forti (ed efficaci) politiche di intercomunalità.
 L’Italia, fino ad oggi, non si è mai mossa in tal senso. Tutt’altro. Tra il 1931 e il 2007, il numero dei Comuni passò da 7.311 a 8.101 con un incremento di 790 unità. Particolarmente elevato fu l’aumento che si registrò tra il censimento del 1931 e quello del 1951 (più 499
Comuni). Più ridotto, 246 Comuni, è quello che si verifica nel ventennio successivo pur con punte come quella del 1956 anno nel quale si provvede alla costituzione di ben 31 nuovi Comuni. A partire dal 1972, il ritmo di crescita rallentò notevolmente, con parziali inversioni di tendenza. Dall’inizio del 2011 al 9 ottobre, data di riferimento dell’ultimo censimento, il numero dei Comuni è passato da 8.086 a 8.092. La stragrande maggioranza di essi ha piccole o piccolissime dimensioni: più del 70% conta meno di 5.000 abitanti e ben 1946 Comuni non superano i 1000.

2. Tagli dei trasferimenti, despecializzazione e blocco del turn-over del personale, patto di stabilità: le mani legate di chi amministra i piccoli Comuni.

Le ultime manovre finanziarie hanno penalizzato fortemente i Comuni, soprattutto quelli più piccoli. Tra tagli dei trasferimenti diretti e indiretti (Province e Regioni), blocco del turn-over del personale dipendente (1 nuova assunzione ogni 5 pensionamenti) e vincoli di attivo in bilancio dettati dal patto di stabilità, il potere di azione degli amministratori si riduce costantemente. E’ sempre più difficile mantenere inalterata la qualità di servizi senza aumentare la pressione fiscale, è quasi impossibile finanziare opere pubbliche che vadano oltre la manutenzione ordinaria. Il personale, sempre più ridotto, fa fatica ad andare oltre le mansioni ordinarie e non riesce a specializzarsi.

3. Le Unioni dei comuni: da passaggio propedeutico all’accorpamento a nuovo livello istituzionale

Un tentativo di rafforzare il potere dei Comuni mediante la concertazione dei servizi e la collaborazione è stato fatto a partire dagli anni ’90 con la nascita delle Unioni dei Comuni. Una legge del 1990 [142/90] stabilì infatti, stanziando contributi straordinari, che “in previsione di una loro fusione, due o più Comuni contermini, appartenenti alla stessa Provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, possono costituire un’unione per l’esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi”. Precisava inoltre il legislatore che entro dieci anni dalla costituzione dell’unione si doveva procedere alla fusione; in caso contrario l’unione veniva sciolta. Tuttavia a questa norma, ne subentrò una successiva (D.L. 18/200) che soppresse l’obbligo della fusione con la conseguente nascita di un quarto livello istituzionale, l’Unione di Comuni appunto.
La Valle del Samoggia è stata una delle prime Unioni dei Comuni nate in Italia e, da circa 10 anni, sperimenta i vantaggi di una gestione associata dei servizi. La nostra Unione ha ormai raggiunto il massimo della sua estensione possibile e le amministrazioni stanno ora tendendo a un processo di autoriforma fortemente rivoluzionario e coraggioso (il primo in Italia per dimensioni), ovvero la fusione di 5 comuni in uno unico che conterebbe 30.000 abitanti.

4. Le nostre conclusioni, il nostro contributo

Il processo di fusione dei piccoli comuni, se diffuso capillarmente su tutto il territorio nazionale può rappresentare una grande svolta nella gestione di TUTTE le istituzioni. Solo il trasferimento di tanti servizi a chi li eroga direttamente (i comuni) mediante il rafforzamento degli stessi può permettere di smontare pezzo per pezzo tutti i macro-organismi che rappresentano i veri costi della politica e della macchina istituzionale. Solo snellendo l’amministrazione pubblica e portandola sempre più vicina a quelli che sono i veri fruitori possiamo cambiare il volto del nostro paese.

Fonti e spunti bibliografici
Antonio Cortese, La riduzione del Numero dei Comuni: un tema che meriterebbe maggior attenzione [Working Paper n. 104/2009 università degli Studi Roma Tre, collana del Dipartimento di Economia]
Marcello Fedele,  Né uniti né divisi: Le due anime del federalismo all’italiana [Saggini, 2010]
Wikipedia, Unioni dei Comuni [http://it.wikipedia.org/wiki/Unione_di_comuni]
SPISA, Studio di fattibilità per la fusione dei comuni Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno [2011]

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